Il ritratto ovale
Edgar Allan Poe
Nella traduzione di Carmen Margherita Di Giglio
Rifugiatosi in un antico castello abbandonato, il narratore è colpito dagli strani dipinti che ne adornano le pareti. Tra questi, in particolare, lo affascina un ritratto circondato da una cornice ovale, raffigurante una giovane donna. Sul letto della stanza in cui trascorrerà la notte, appoggiato a un cuscino, trova un libro che descrive la storia di ogni quadro e scopre che la donna raffigurata nel ritratto era la sposa del pittore, una moglie perfetta sotto ogni aspetto, ma gelosa dell’arte del marito, che la trascurava per dedicarsi interamente al suo lavoro.
La storia narra che l’artista avesse condotto sua moglie in una stanza buia e fredda in cima alla torre per dipingere e il suo ritratto. Giornate di posa estenuanti, al freddo, durante le quali il pittore diventa così ossessionato dalla sua opera da non accorgersi che la donna davanti a lui deperisce sempre di più…
Tra i racconti più brevi scritti da Edgar Allan Poe, “Il ritratto ovale” sembra voler mettere in guardia il lettore dal pericolo di privilegiare l’arte sulla vita, ossia di ignorare la realtà a favore dell’arte e di oggettivare la bellezza delle persone a costo della loro indipendenza e benessere.
Il pittore diventa così un autentico vampiro, seppure a livello metaforico: egli sembra drenare le energie vitali della sua modella per alimentare il proprio lavoro creativo. La moglie è alla fine immortalata sulla tela, proprio come un vampiro immortala le sue vittime, ma solo al prezzo della sua vita reale.
Un’altra possibile chiave di lettura è quella di considerare il racconto come un’affermazione sulla natura della creatività – vale a dire che l’arte ha il potere di eguagliare la vita stessa, ma l’equilibrio tra arte e vita, affinché esse non perdano del tutto contatto tra loro, dev’essere attentamente perseguito, pena il riscontro di un prezzo troppo alto da pagare.